IL BRUCO PELOSO
Quando ho sentito pungere era già troppo tardi. Dietro a quel fiore bianco e rosso si nascondeva l’insidia più temuta nel giardinetto pubblico: il bruco peloso.
Il gonfiore si è impossessato della mia mano facendola diventare il doppio di grossa, in vano i miei amici hanno cercato di aprirla, non c’era modo di riuscirci, ma dentro, ben custodito c’era il bruco che con i suoi innumerevoli peli “velenosi” si era difeso eroicamente dall’aggressione.
Nemmeno una lacrima è scesa dai miei occhi, e dire che il dolore era forte e si spostava rapidamente dalla mano al resto del braccio.
“Apri, non puoi tenerlo lì dentro, dobbiamo andare in farmacia” dicevano loro, ma sapevo, ero sicuro che fine avrebbe fatto il bruco e per quello non volevo lasciarlo scappare.
“No, la mia mano non l’apro, portatemi dove volete ma prima devo mettere in salvo il bruco” dicevo cercando di trattenere il pianto per l’intenso dolore.
“Tu non sei normale, più ti ostini a lasciarlo nella tua mano, più dolore avrai, aprila e lascialo andare, ci pensiamo noi a lui” ma io non volevo.
Quasi paralizzato dalla puntura iniziai a correre con il pugno ben chiuso, sentendo al suo interno il bruco muoversi, attraversai la Statale senza averne cura delle macchine che a quell’ora del mattino sfrecciavano da sud a nord a tutta velocità, arrivai nelle scale del condominio e senza fermarmi, spingendo nonno Ettore che scendeva a fatica appoggiando bastone ed entrambi piedi per ognuno dei 25 gradini, entrai in casa chiedendo a mia mamma una scatola.
“Cosa ti è successo, cosa hai combinato ancora ?” mi ha detto guardando la mia mano gonfia e il braccio semi immobilizzato, “niente” ho risposto, cercando di non fare udire a lei le urla dei miei compagni di gioco che dal cortile urlavano e gridavano cercando di spiegare quanto accaduto.
Il dolore era fortissimo, ma non mollavo, non volevo dare in pasto a quei assassini il bruco peloso, soltanto io sapevo il perché.
Mentre mia mamma entrava in bagno e usciva con dell’alcol e del cotone, alcuni dei miei amici erano riusciti ad avvicinarsi alla finestra e affacciandosi spiegavano a mia madre cosa fosse successo.
Non avendo altra scelta, mi arrampicai sul grosso armadio in camera e cercai, spostando l’albero di Natale, le palline e le ghirlande, una scatola adatta al nuovo ospite. Appoggiandola sul letto appena rifatto, riuscii ad aprirla e aprendo a fatica la mano gonfia, depositai con delicatezza il grande bruco rosso, nero e blu che mi aveva punto.
Riuscii appena in tempo a mettere il coperchio prima che mia mamma arrivassi da me arrabbiata decisa a darmi le prime cure medica per la puntura, a quel punto, nascondendo la scatola col prezioso contenuto dietro la mia schiena, dissi a mia mamma di spostarci in sala, vicino alla biblioteca, solo lì mi sarei lasciato fare tutte le cure del mondo.
Arrivati in sala, porsi la mia mano e aprendolo ricevete uno spruzzo di alcol che mi fece singhiozzare, ma pur soffrendo, nemmeno una lacrima scappò dai miei occhi. Mentre la mamma cercava in tutti modi di sgonfiare il mio arto, con la mano sinistra cercai tra i libri il fascicolo dell’enciclopedia dove avevo visto quello che cercavo, e facendo scorrere le pagine con l’indice e il pollice, trovai a pagina 43 la descrizione esatta.
Alla lettera M c’era una bellissima foto del “Macrothylacia rubi”, un bruco enorme e peloso che nella facciata successiva, sempre in un’immagine a colori, lasciava vedere tutto lo splendore della grande farfalla gigante multicolore. Rossa, nera e blu, proprio come il mio bruco peloso, riguardai la foto e aprendo la scatola osservai attentamente il suo contenuto, si, era proprio lui.
Soltanto in quel momento una lacrima scese lentamente scivolando sul mio viso, mentre la mamma, ignara di tutto, mi chiedeva: “fa male vero ?”, “si mamma” risposi, ma soltanto io e il bruco peloso sapevamo il perché del mio pianto silenzioso, la missione era stata portata a termine e il mio “macrothylacia rubi” sarebbe alcun giorno diventato farfalla multicolore.